L’installazione è pensata in modo da evidenziare, a colpo d’occhio e in modo scenografico, l’alto numero di persone deportate, il loro nome, la loro età e il numero esiguo di sopravvissuti. È progettata per coinvolgere attivamente il pubblico, che attraversa, nella visita, un percorso di elementi verticali sospesi, tanti quanti furono i deportati e di lunghezza variabile, in base all’età raggiunta da ogni deportato al 23 luglio 1944.
L’installazione è concepita come un’esperienza immersiva e partecipativa, che avvicini il più possibile passato e presente, donne, uomini, anziani e bambini di ieri e di oggi, nel quadro di una storia che ci riguarda da molti punti di vista.
Da qui la scelta di realizzarla in modo volutamente incompiuto: senza il coinvolgimento diretto del visitatore o della visitatrice, essa rimane mera metafora di un evento sempre più lontano nel passato e dai contorni sfumati.
Ogni visitatore è dunque chiamato a contribuire, appendendo a uno dei fili disposti lungo l’installazione un cartoncino prestampato che rappresenta uno dei 1.817 deportati e che riporta il suo nome, la data e il luogo di nascita, il nome del padre e della madre. Sono i dati essenziali per poter identificare una persona nel corso della ricerca storica e in questa modalità il visitatore viene messo in contatto con il lavoro di ricostruzione.
I fili a cui i visitatori appendono i cartoncini hanno dieci lunghezze diverse, corrispondenti alle fasce d’età individuate nel gruppo dei deportati. In questo modo si vuole rendere immediatamente evidente quanti bambini, adolescenti, giovani, adulti e anziani furono deportati in quel medesimo giorno. I cordini più corti rappresentano le vite delle persone più giovani mentre quelli più lunghi quelle dei più anziani.
Tra le lunghezze anche una intermedia, per tutti coloro di cui non è nota la data di nascita e non è quindi possibile al momento stabilire l’età in cui sono stati deportati.
I cartoncini sono differenziati attraverso il colore per evidenziare l’impatto della Shoah su questa comunità: il bianco per tutti coloro che non sono tornati; per i 179 sopravvissuti il verde acqua, colore che rappresenta il mare, elemento caratteristico sia della vita sull’isola, sia della deportazione dell’ebraismo dai Possedimenti italiani dell’Egeo.
Quest’ultima, infatti, è una delle poche deportazioni che avviene, almeno in parte, via mare. Anche per questo si è voluto immergere l’installazione nel suono delle onde che, sfruttando le caratteristiche ambientali del Memoriale della Shoah, viene bruscamente interrotto dal frastuono provocato dal passaggio dei treni della Stazione Centrale di Milano.
Sul retro di alcuni cartoncini verde acqua si trova un QrCode che, inquadrato con il proprio cellulare, dà accesso a un breve video estratto dalle interviste realizzate dalla Fondazione CDEC nel quale i e le reduci raccontano con le proprie parole, i gesti e la voce, una vicenda particolare della propria storia.
Alla fine del percorso, una selezione di filmati storici e di contenuti audiovisivi legano la vicenda degli ebrei di Rodi alla storia d’Italia, al Fascismo e alle vicissitudini degli ebrei deportati dalla Penisola.
L’INSTALLAZIONE SI TROVA AL MEMORIALE DELLA SHOAH DI MILANO.
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