Il libro della memoria di Liliana Picciotto pubblicato nel 1991 rappresentò una pietra miliare per i discendenti e i conoscenti dei deportati e per il Paese intero che, grazie alla pubblicazione, potè prendere coscienza del numero, dei nomi e delle dinamiche della deportazione ebraica.
Verso la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, il Centro aveva iniziato a realizzare anche le prime interviste audio e video a sopravvissuti. Da quei primi materiali era chiaro che la testimonianza diretta di chi aveva subito le persecuzioni rappresentava un elemento fondamentale per la ricostruzione ed elaborazione storica di quanto accaduto in Italia durante la guerra. Fino a quel momento però, i testimoni si erano dimostrati poco inclini a raccontare le proprie vicende, e solo nel 1992, quando le piazze italiane furono teatro di nuovi episodi neofascisti, diversi reduci si convinsero a rilasciare la propria testimonianza, anche video.
Fu così che la storica Liliana Picciotto e lo studioso Marcello Pezzetti iniziarono ad elaborare un nuovo progetto scientifico relativo alla raccolta e conservazione delle testimonianze dei deportati in Italia. Prendendo spunto da iniziative internazionali analoghe come il Fortunoff Video Archive for Holocaust Testimonies dell’Università di Yale, nel 1995, a cinquant’anni dalla Liberazione, i ricercatori cominciarono a raccogliere le prime interviste video. Da subito emerse l’importanza di riportare i testimoni nei luoghi in cui erano avvenute le persecuzioni, fattore che portò ad importanti risultati: grazie ad esempio alla dettagliata e precisa testimonianza in loco di Liliana Segre, fu possibile individuare il sito e ricostruire il funzionamento dei convogli in partenza dal Binario 21 della Stazione centrale di Milano.
Nel 1996, le 105 interviste raccolte da Picciotto e Pezzetti furono organizzate in quello che oggi è denominato Archivio della memoria e costituirono il punto di partenza per la produzione del film-documentario Memoria, con la regia di Ruggero Gabbai. Diverse delle interviste per il documentario furono girate nei luoghi simbolo della persecuzione, dalle carceri ai luoghi di raccolta fino al campo di Auschwitz.
Per la cifra stilistica innovativa, la maniera caratteristica di effettuare le interviste e lo spirito dei testimoni, il film ottenne numerosi riconoscimenti e premi internazionali.
Da “Il Libro della Shoah Italiana” di Marcello Pezzetti, a proposito del processo di raccolta delle interviste:
«L’opera che viene offerta al pubblico è dunque il risultato di un lavoro di ricerca lungo e complesso. Un lavoro che è stato doloroso innanzitutto per chi è stato intervistato, spesso consapevole di offrirci con grande generosità una parte importante della propria vita che aveva deciso di non rendere mai pubblica, in secondo luogo per i componenti delle loro famiglie, che in molti casi hanno assistito alle interviste e hanno appreso la sorte dei loro cari nei dettagli solo in quell’istante, infine per noi che abbiamo raccolto la loro storia e la loro memoria, dal momento in cui è stato estremamente difficile mantenere un equilibrio tra il necessario rigore scientifico che doveva contraddistinguere il nostro approccio e il coinvolgimento umano che la drammaticità delle testimonianze suscitava».