I campi di concentramento provinciali per ebrei istituiti dalla Repubblica Sociale Italiana sono parte integrante della storia della Shoah in Italia. Sull’argomento si è sviluppata poca storiografia a causa della scarsità della documentazione reperibile e per il fatto che queste strutture provvisorie ebbero durate minime: salvo casi eccezionali, di poche decine di giorni.
L’occupazione tedesca dell’Italia iniziò l’8 settembre 1943. L’estensione della politica nazista della “soluzione finale” agli ebrei d’Italia non tardò a farsi sentire: sulle rive del Lago Maggiore un terribile eccidio e nella provincia di Bolzano i primi arresti risalgono alla metà di settembre. Alla fine dello stesso mese le autorità di polizia tedesche richiesero alla comunità ebraica romana una pesante taglia di 50 chili d’oro, dietro promessa di non procedere agli arresti. Seguì un proditorio rastrellamento a sorpresa avente per epicentro il vecchio quartiere ebraico che produsse più di un migliaio di vittime in poche ore e la deportazione di queste verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Gli occupanti tedeschi continuarono la loro opera in altre città italiane, risalendo la Penisola: arrestarono e deportarono altri ebrei, facendoli partire dalle stazioni ferroviarie delle città di Firenze, Bologna, Milano, Trieste. Agirono in questa prima fase in piena autonomia e senza chiedere la collaborazione delle istituzioni italiane.
Dopo il rovesciamento di Mussolini in luglio 1943 e la sua liberazione da parte tedesca nel settembre seguente, un nuovo governo fascista si insediò con a capo lo stesso Mussolini, che non condivise più il potere con il re Vittorio Emanuele II di Savoia, ma agì su base repubblicana. La capitale fu spostata da Roma a Salò, nell’Italia settentrionale. Per gettare i principi ideologici e politici del nuovo stato, denominato Repubblica Sociale Italiana (RSI) il 14 novembre 1943 fu indetta a Verona un’assemblea del Partito Fascista Repubblicano con delegati giunti da tutte le città d’Italia. I punti, enunciati pubblicamente, furono 18, il numero 7 fu dedicato alla “questione ebraica” con la seguente dichiarazione: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Il 30 novembre successivo il Ministro dell’Interno della Repubblica Sociale Italiana dispose, con meccanismo tutto italiano, l’arresto, l’internamento degli ebrei, italiani e stranieri, oltreché il sequestro dei loro beni.
La sera stessa del 30 novembre 1943, le Prefetture ricevettero il seguente ordine di polizia firmato dal Capo della Polizia Tullio Tamburini:
«1) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
3) Siano pertanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati».
L’ordinanza rese ogni ebreo a partire dal 1° dicembre 1943 passibile di arresto da parte delle autorità italiane. In effetti, nei mesi seguenti, i fermi vennero effettuati direttamente dalle Questure della RSI o dai comandi dei carabinieri, dopo minuziose ricerche domiciliari. Una nuova terribile fase venne inaugurata, forse peggiore della prima che era stata tutta tedesca: gli agenti di Pubblica Sicurezza e i carabinieri avevano molte più possibilità di rintracciare gli ebrei nascosti, conoscevano gli indirizzi di ognuno grazie alle operazioni di controllo e di censimento del regime fascista precedente, conoscevano il territorio molto meglio dei tedeschi e potevano muoversi con maggiore scioltezza.
I campi di concentramento provinciali di cui si parla al punto 3 dell’ordine furono 28. Essi fanno parte integrante dell’ordine per la persecuzione generalizzata di tutti gli ebrei residenti nel territorio della Repubblica Sociale Italiana. Servirono allo scopo principale di momentanee prigioni, in attesa che il campo nazionale prescelto fosse predisposto per ricevere tutti gli ebrei d’Italia. Il campo nazionale per gli ebrei d’Italia fu istituito a Fossoli di Carpi (Provincia di Modena) il 2 dicembre 1943. I campi provinciali furono anche un comodo serbatoio di inermi persone imprigionate, fatte partire dagli occupanti direttamente dalla stazione centrale di Milano il 30 gennaio successivo verso il campo di sterminio di Auschwitz. Dopo quella data, le deportazioni furono tutte organizzate a partire dal campo di Fossoli ormai pienamente in funzione sia come luogo dove concentrare tutti gli ebrei arrestati dalle autorità italiane, sia come luogo da cui far partire gli stessi da parte delle autorità tedesche.
Ecco l’elenco e la localizzazione dei campi di concentramento provinciali, spesso scuole abbandonate, caserme, ville requisite, o addirittura, locali delle comunità ebraiche:
per la Provincia di Ancona, presso la colonia marina Unes, a Senigallia;
per la Provincia di Aosta, all’interno della caserma Mottina ad Aosta;
per la Provincia di Asti, nel Palazzo del Seminario;
per la Provincia di Cuneo, nella caserma degli Alpini di Borgo San Dalmazzo;
per la Provincia di Ferrara, nei locali del Tempio Israelitico di rito italiano;
per la Provincia di Firenze, a Villa La Selva di Bagno a Ripoli;
per la Provincia di Forlì, presso l’albergo Commercio di Corso Diaz;
per la Provincia di Frosinone, il campo di Servigliano situato in altra Provincia (Ascoli Piceno);
per la Provincia di Genova, l’ex campo per prigionieri di guerra di Calvari di Chiavari;
per la Provincia di Grosseto, a Villa del Seminario estivo a Roccatederighi (comune di Roccastrada) di proprietà della Curia Vescovile;
per la Provincia di Lucca, l’ex albergo Le Terme in località Bagni Caldi a Bagni di Lucca;
per la Provincia di Macerata, a Urbisaglia dove furono ristretti ebrei ex internati liberi della zona (il luogo era stato, assieme a Sforzacosta, anche campo per internati civili stranieri, antifascisti e rastrellati);
per la Provincia di Mantova, nei locali della Casa di Riposo Israelitica;
per la Provincia di Milano, all’interno di uno dei raggi del carcere di San Vittore, che prese il nome di campo di concentramento per ebrei;
per le Province di Padova e Rovigo a Villa Contarini-Venier nel comune di Vò Vecchio in una casa estiva delle suore elisabettiane;
per la Provincia di Parma, nel Castello di proprietà dell’orfanotrofio Vittorio Emanuele II di Parma a Scipione, frazione di Salsomaggiore gli uomini e, nell’albergo Bagni, a Monticelli Terme, le donne e bambini;
per la Provincia di Perugia, a Villa Ajò, poi nell’edificio dell’Istituto Magistrale e in seguito ad Isola Maggiore del lago Trasimeno (Villa Guglielmi);
per la Provincia di Ravenna, all’interno delle carceri locali;
per la Provincia di Reggio Emilia, prima a Casa Sinigaglia, poi a Villa Corinaldi e successivamente a Villa Levi a Coviolo;
per la Provincia di Roma, in una sezione del carcere di Regina Coeli;
per la Provincia di Savona, a Spotorno;
per la Provincia di Sondrio, nel padiglione di proprietà del comune in via Nazario Sauro destinato agli Uffici Sanitari (era un ex deposito del grano costruito nel 1919);
per la Provincia di Teramo, nella caserma Mezzocapo; per la stessa Provincia, fu utilizzato anche Servigliano, situato in altra Provincia (Ascoli Piceno);
per la Provincia di Vercelli, nella cascina Ara Vecchia di proprietà comunale e, successivamente, nella Casa di Riposo Vittorio Emanuele III;
per la Provincia di Venezia, nella locale Casa di Riposo Israelitica;
per la Provincia di Verona, in un edificio di via Pallone;
per la Provincia di Vicenza, nella Colonia Umberto I a Piani di Tonezza;
per la Provincia di Viterbo, nel locale carcere S. Maria in Gradi.
Per le altre province, si deve supporre che fossero sezioni delle stesse carceri locali a fungere da campi di concentramento provinciali per ebrei.
A Fiume e a Trieste gli ebrei vennero generalmente arrestati direttamente dalla polizia tedesca e rinchiusi nel carcere del Coroneo. Dopo l’istituzione del campo della Risiera di San Sabba, le partenze dei deportati vennero organizzate dal suo interno.
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Viarengo Giorgio Getto, Il campo provinciale per ebrei di Calvari di Chiavari (dicembre 1943-gennaio 1944) e le sue altre funzioni, in Liliana Picciotto ( a cura di), “Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi”, Numero speciale de “La Rassegna mensile di Israel”, vol. LXIX, nn. 1-2, gennaio-aprile 2003, pp. 415-430.