A. Minerbi, “Il veleno delle parole. La propaganda antisemita del fascismo nel 1938. Libri e periodici milanesi conservati presso la Fondazione CDEC”

Oggi, considerata la sconcezza delle notizie propagandate dai giornali, sempre in mala fede e sempre in atteggiamento schifoso, ho ritenuto opportuno di sospendere la lettura, perciò contrariamente agli altri giorni, non se ne è fatto acquisto e perciò non si è fatto che aumentare la già scarsa partecipazione alla compra di orribile, falsa, servile stampa: purtroppo deroghe a tale consegna dovranno essere necessariamente date, quando si tratti di notizie ufficiali.
Vittorio Pisa, diario, settembre 1938

La stampa che è tutta statale, e vuole avere uno spirito antiebraico, dà uno spettacolo pietoso ributtante di incongruenze, contraddizioni, spropositi storici, nefandezze da sciacalli. […] Lo spettacolo di un pagliaccio ubriaco, ma dàlli, dàlli, dàlli, il senso di diffidenza e di odio si appiccicherà, si diffonderà (a nostra vergogna) forse. Non mancano già i pappagalli ed i malvagi.
Ernesta Bittanti-Battisti, diario, novembre 1938

Distilla veleno una fede feroce
Eugenio Montale, Dora Markus, 1939

AVVERTENZA. Sia la Mostra sia questa Guida hanno lo scopo di illustrare il veleno diffuso nel 1938. Tale veleno viene qui documentato così come ieri venne propagato. Alcune di quelle tossine sono ancora oggi in circolazione; sta al lettore di questa Guida acquisirne consapevolezza, identificarle, neutralizzarle.

Tutte le pubblicazioni esposte e citate provengono dalle raccolte della Fondazione CDEC.

Introduzione

Nel settembre del 1938 il regime fascista emanò le prime leggi antiebraiche, destinate nei mesi successivi a divenire un corpus consistente di provvedimenti finalizzati a escludere gli ebrei, italiani e stranieri, da tutti i settori della vita civile, politica, economica e culturale italiana. La promulgazione delle leggi fu preparata e accompagnata da una campagna di stampa aggressiva e denigratoria nei confronti degli ebrei, che, proprio per la sua ampiezza e capillarità, non poté essere ignorata dalla maggioranza degli italiani. La lettura della stampa, quotidiana e non, all’epoca il principale mezzo di comunicazione insieme alla radio, consente di ricostruire i temi che il regime voleva venissero veicolati. Giornalmente, attraverso queste pagine, si veniva a sapere di quali terribili colpe si macchiavano gli ebrei, quanto pericolosi fossero i loro comportamenti e le loro abitudini. Gli italiani dovevano imparare a guardarsi dagli ebrei, a capire quale profonda differenza ci fosse fra la cosiddetta “pura stirpe italica” e la cosiddetta “marmaglia giudaica”, e dunque, in ultima analisi, comprendere l’importanza e la necessità di leggi discriminatorie.

Le parole – come scriveva in quei mesi nel suo diario il grande filologo tedesco di origine ebraica Viktor Klemperer – possono agire come dosi di veleno, penetrare lentamente per manifestare, con il tempo, la loro virulenza. Quelle parole, quelle accuse, quelle insinuazioni antigiudaiche potevano penetrare, e penetrarono, come dosi di veleno anche negli italiani non ebrei. Tra la condivisione di idee razziste e la pratica razzista vi è uno scarto comunque significativo, ma considerare una persona colpevole di sordide trame, impegnata a perseguire subdolamente i propri interessi a danno della comunità in cui vive e, peggio ancora, capace di scatenare una guerra, era premessa per considerare giuste le misure repressive nei suoi confronti, per compiacersi se veniva licenziata e isolata.

Il ministero della Cultura popolare non permise che alcun aspetto di questa campagna di stampa fosse lasciato al caso, informando regolarmente i direttori di tutte le testate su cosa si dovesse scrivere e cosa tacere. Il 13 settembre 1938, per esempio, una velina informava: “Prego v. e. confermare quotidiani e avvertire periodici seguente disposizione: i giornali continuino la illustrazione dei problemi razziali. Possono inoltre dare notizie statistiche sulla permanenza degli ebrei nelle varie città, astenendosi per ora dal pubblicare elenchi di nomi. […] I giornali respingano le inserzioni pubblicitarie da parte di ebrei per nozze, condoglianze, affari commerciali, avvisi vari, etc. L’articolo del D.L. che definisce è il dato di fatto sul quale si deve basare la campagna razzista, senza che si facciano commenti, supposizioni e previsioni sul trattamento che verrebbe riservato ai figli di padre o madre ariana e di madre o padre ebreo. Il Ministro Alfieri”.

E’ proprio dalle parole d’ordine della stampa, dalla diffusione dei suoi stereotipi, che è possibile ricostruire l’ambiente che informò la società italiana in un’epoca in cui non erano consentite espressioni d’opinioni o fonti d’informazione diverse da quelle ufficiali.

La Mostra documentaria Il veleno delle parole si compone di una scelta di articoli e libri antisemiti pubblicati a Milano e in Lombardia nel 1938. Essa intende raccontare il “martellamento” quotidiano cui era sottoposto un cittadino milanese medio, che cosa apprendeva ogni mattina quando leggeva il giornale.

In questa Guida alla Mostra, destinata a un uso essenzialmente didattico, vengono riportati alcuni brani degli articoli e dei volumi esposti nella Mostra, scelti per il loro carattere esemplificativo dei temi prevalenti, delle parole utilizzate, degli stereotipi diffusi.

Il “Corriere della Sera”, fondato a Milano nel 1876, usciva quotidianamente. Al momento della marcia su Roma ne era direttore Luigi Albertini che però fu allontanato nel 1925 per la sua aperta ostilità al regime. Negli anni successivi la redazione subì molte epurazioni per farne una voce sempre più fedele alle direttive politiche del fascismo. Nel 1938 ne era direttore Aldo Borrelli che modernizzò molto la testata dal punto di vista giornalistico, facendone un giornale che, pur ossequiente al regime, si caratterizzava per un notevole livello intellettuale e superava ampiamente le 500.000 copie quotidiane.

“Il Popolo d’Italia”, quotidiano, fu fondato nel 1914 da Benito Mussolini che lo diresse fino al 1922. Nel 1938 ne era direttore Vito Mussolini. Il giornale era diventato nel corso degli anni ’20 sempre più chiaramente la voce ufficiale del regime e la testata pensata per la sua classe dirigente, poco attuale giornalisticamente e poco interessante culturalmente. Dal 1936 il caporedattore Pini lo migliorò per la varietà e qualità dei contenuti, tanto che il giornale conobbe un notevole incremento delle vendite superando nel 1938 le 200.000 copie.

“Il Regime fascista” fu fondato nel 1926 a Cremona da Roberto Farinacci quando venne allontanato dalla carica, assunta l’anno precedente, di segretario del Partito nazionale fascista a causa dei continui contrasti con Mussolini. Farinacci ne fece un organo di stampa personale per portare avanti la sua linea politica estremamente radicale, razzista e bellicista.

1. L’invenzione fascista della razza

L’inizio della campagna di stampa antisemita fu pressoché improvviso. Nel volgere di pochi mesi tutte le testate nazionali e locali cominciarono ad attaccare con violenza gli ebrei in articoli spesso assai aggressivi. Affinché il loro effetto fosse ancora più ampio, si sottolineava con forza, sia l’estraneità degli ebrei dal corpo sociale italiano, sia come il fascismo avesse avuto ben chiaro questo aspetto sin dalle sue origini. Il mito dell’“italiano nuovo”, che il fascismo propagandava da anni, si arricchì così di un’ulteriore connotazione.

A metà luglio tutti i giornali pubblicarono con grande clamore il documento teorico Il fascismo e i problemi della razza (noto anche come Manifesto della razza) in cui si affermava l’esistenza della “pura razza italiana”, di cui gli ebrei non facevano parte. Tra il luglio e il dicembre 1938 numerosissimi articoli sottolinearono il carattere autenticamente italiano del razzismo fascista, che in niente era debitore a suggestioni straniere e, soprattutto, l’unità etnica e spirituale del popolo italiano, che datava dall’impero romano e che era ora necessario, con la rifondazione dell’impero, riportare in auge.

Il documento Il fascismo e i problemi della razza, pubblicato su tutta la stampa nazionale e presentato come opera di “un gruppo di studiosi fascisti”, riguardava il razzismo in generale e dunque anche quello antiebraico. Esso dette un fondamentale contributo alla creazione di un’ideologia razzista italiana da un duplice punto di vista: la formulazione di una visione complessiva che presumeva l’inferiorità naturale e culturale di alcuni gruppi razziali e l’invenzione di una razza italica, cioè l’enunciazione di criteri che ne permettessero l’individuazione.

L’immagine dell’ebreo che doveva imprimersi nella coscienza collettiva era quella dell’elemento estraneo e inassimilabile, tanto dal punto di vista etnico che spirituale. Questi aspetti erano profondamente legati alla costruzione del mito dell’ “uomo nuovo” e della “romanità” fascista. La formulazione di una vera e propria gerarchia delle razze e la costruzione di una “coscienza di razza” apparivano tanto più importanti in quanto, proprio a partire dall’acquisizione di un impero popolato da etnie diverse, la tutela dell’uomo italiano, figlio della Roma imperiale, sembrava farsi urgente. A partire dai giorni successivi alla diffusione del documento, comparvero numerosi interventi nei quali erano amplificati gli enunciati razzisti che, pure se ammantati da un’aura di pretesa serietà, non facevano che propagandare tesi prive di basi scientifiche ma del tutto funzionali alle esigenze del momento.

La necessità di mantenere la purezza italiana era considerata prioritaria e sebbene non si affermasse esplicitamente cosa comportava proclamarsi “francamente razzisti”, non è difficile leggere fra le righe la necessità di provvedimenti radicali – quali sarebbero state appunto le leggi razziste proclamate di lì a poco – affinché si evitassero le “unioni”, giudicate inammissibili.

Il fascismo e la razza [il fascismo e i problemi della razza], “Corriere della Sera”, 15.7.1938

[…]

6. Esiste ormai una pura “razza italiana”. […] Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.

7. E’ tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose […].

9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. […] Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.

10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. […]

Questo documento fu oggetto di numerosi articoli di commento che ne sottolineavano il valore e l’importanza. Più in generale la sua pubblicazione dette via a una lunga serie di contributi. In anni in cui si voleva ribadire l’indipendenza e la superiorità dell’Italia rispetto al resto d’Europa, la sua capacità di vivere in un regime autarchico, era importante dimostrare soprattutto l’autonomia dalla Germania per chiarire che non si trattava dell’“importazione” di un ideologia straniera.

Nostro razzismo, “Il Regime fascista”, 3.8.1938

Sia benvenuta la dichiarazione sui problemi della razza: il Fascismo non poteva restare dall’assumere nettamente posizione su questo problema che turba, per le imprecisioni e gli equivoci da cui è circondato, tanta parte del mondo moderno. Problema che è essenziale per ogni dottrina politica; e lo è tanto più per la nostra Rivoluzione che è investita del compito eternamente chiarificatore e costruttore di Roma; e tanto più lo è, starei per dire, nella cordialità – ormai assodata come una delle principali realtà europee – con la Germania hitleriana attraverso la funzione non soltanto politico-diplomatica, ma specialmente culturale e spirituale, dell’Asse Roma-Berlino.

Sia dunque benvenuta questa dichiarazione la quale, con cristallina chiarezza, definisce il contenuto dottrinale del razzismo fascista e pone le premesse dell’azione pratica. Ed è bene dire subito che essa è francamente romana. Mentre altre definizioni del razzismo si chiudono in un egocentrismo che fatalmente diviene narcisismo e finisce per tarpare le ali ad ogni espansione imperiale, questo nostro razzismo, così come è stato definito da Roma, forma il nucleo ed il fondamento di una più grande universalità. Ancora una volta Roma rifiuta ogni monismo materialistico ovvero intellettualistico per dire la sana parola di quel realismo nel quale la Verità si concreta e nel quale materia e spirito, umanità e trascendenza, si incontrano e si compenetrano. Tra il razzismo degli estremisti di Norimberga che eleva a religione il mito del sangue e l’universalismo bacato degli intellettuali di Parigi che naturalizza i negri, Roma – Roma Fascista – dice la parola che sola può essere base alla ricostruzione civile dell’Europa e, intorno all’Europa, gerarchicamente, del mondo.

Nel 1937 l’Italia fascista aveva infatti emanato nell’impero una legislazione razzista volta a stabilire una netta separazione fra italiani e popoli conquistati, per evitare il meticciato. In politica interna, relativamente agli ebrei, il problema venne presentato in modo similare prospettando cioè una soluzione altrettanto radicale.

Razze e razzismo, “Corriere della Sera”, 21.7.1938

La spiegazione principale del documento è nella frase: “E’ tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”. Ciò significa che l’Italia d’oggi, avendo assunto una funzione mondiale e imperiale, non può trascurare taluni problemi che altra volta potevano essere, senza danno, lasciati in disparte. Quanto più frequenti e gravi diventano le occasioni per cui il popolo italiano si trova in contatto con altri popoli, tanto più fortemente esso deve affermare la propria personalità, rivendicare la propria originalità fisica e morale. Ora è chiaro come a questa affermazione non possa riuscire indifferente il pieno possesso della coscienza di razza. Un popolo che non si senta fortemente omogeneo sotto il punto di vista razziale non avrà mai una fisionomia definita e non potrà, a più forte ragione, imprimere questa fisionomia alla sua storia […].

L’esistenza d’un numero ristretto di semiti non assimilati, gli ebrei, dimostra appunto che una incompatibilità, per così dire, razziale esiste fra l’italiano tipicamente occidentale e l’ebreo tipicamente orientale, asiatico. La vecchia terminologia, del resto, che distingueva i popoli in tre gruppi, giapetici, semitici e camitici, esprimeva in sostanza una realtà: gl’Italiani appartengono e sono orgogliosi di appartenere al gruppo giapetico che ha i caratteri più chiaramente scolpiti dei popoli conquistatori, dominatori e creatori. […] Conquistato l’Impero, una delle prime preoccupazioni del Governo fascista fu di vietare la commistione del sangue fra dominatori e dominati, al fine di evitare quel grave fenomeno di degenerazione, proprio di taluni ambienti coloniali, che è il mulattismo. Questo è un aspetto esteriore, vistoso, del problema razziale. Ve ne sono altri più interiori che assumono molteplici forme. Il Regime li risolverà indubbiamente con quella coerenza e continuità che sono proprie dello spirito fascista.

La rivoluzione fascista era considerata un momento fondamentale, una svolta radicale nella storia italiana: era però anche importante formulare una sorta di “invenzione della tradizione” nella storia nazionale, che dimostrasse come da secoli l’Italia fosse un paese con una sua precisa e definita identità. Risalendo indietro nella vicenda storica nazionale, si sostenne che dai tempi della Roma imperiale l’Italia avrebbe costituito un’unità etnica e razziale. La storia veniva riletta sotto una nuova luce, le cui tappe erano date dall’affermarsi della purezza italiana: la presa del potere fascista ne segnava l’apogeo poiché per la prima volta erano state create istituzioni specificamente preposte alla tutela e al potenziamento dell’italianità.

Carlo Cecchelli, Origini ed omogeneità della razza italiana, “Corriere della Sera”, 24.8.1938

Quindi, dall’invasione longobarda in poi, non vi furono che trascurabili apporti di altre razze. Gli Italiani rinsaldarono di secolo in secolo il loro vincolo etnico in funzione della chiara coscienza d’appartenere a una sola razza inclusa in ben determinati confini. “Da almeno mille anni – si è stabilito nel decalogo degli universitari fascisti – esiste una razza italiana”. Ciò basta a legittimare l’orgoglio di appartenere a un popolo tanto insigne, a una razza biologicamente così selezionata ed omogenea, che ereditò tutte le più alte tradizioni del mondo antico e che poté vantare l’egemonia sul Mediterraneo. A questa coesione etnica contribuirono l’idea di Roma e anche, è doveroso riconoscerlo, la Chiesa di Roma. Si fa ora avanti la necessità di studiare a fondo la civiltà del periodo fra il basso Impero e il basso Medio Evo. E’ in esso infatti che concretamente si distingue e va affermandosi la razza italiana.

L’unità etnica italiana in uno scritto di A. Solmi, “Corriere della Sera”, 8.8.1938

Rivelata l’energia della razza nel rapido aumento della popolazione, superata la crisi depauperante dell’emigrazione, vinta, col più puro sangue nazionale, la guerra contro l’Austria, l’Italia si presenta a Parigi, nelle trattative di pace, come la Nazione etnicamente più pura d’Europa, con minoranze straniere che non raggiungono il 3 per cento. Sorge il Fascismo, e la “grande proletaria” è condotta ai fastigi dell’Impero. Il sistema corporativo, l’Opera Maternità e Infanzia, l’Opera Dopolavoro, l’Opera Balilla, la Gioventù Italiana del Littorio, la Milizia nazionale sono tutte istituzioni protettive della razza.

Il popolo italiano assume la sua tipica impronta, inequivocabile. Esso rivela la sua indole spirituale, fondata su basi biologiche nettamente differenziate, e perciò si presenta, tra i popoli d’Europa, nella sua massa organica, e nei suoi elementi costitutivi, come un tipo a sé stante, derivato dalle progenie di Roma e rafforzato da nuovi incroci civili, ricco delle tradizioni storiche più gloriose e più remote; forte per la sanità fondamentale dei suoi germi vitali, pronto al più duro e al più geniale lavoro, maturo per le maggiori fortune.

Elenco dei documenti di questa sezione

Stampa

Il fascismo e la razza, “Corriere della Sera”, 15.7.1938

Razze e razzismo, “Corriere della Sera”, 21.7.1938

Nostro razzismo, “Il Regime fascista”, 3.8.1938

Il razzismo italiano data dall’anno 1919, “Il Popolo d’Italia”, 6.8.1938

La difesa della razza è un diritto e un dovere, “Il Regime fascista”, 6.8.1938

L’unità etnica italiana in uno scritto di A. Solmi, “Corriere della Sera”, 8.8.1938

I temi per la difesa della razza fissati dal Segretario di Partito, “Corriere della Sera”, 13.8.1938

Carlo Cecchelli, Origini ed omogeneità della razza italiana, “Corriere della Sera”, 24.8.1938

Punti fermi sul giudaismo, “Corriere della Sera”, 10.9.1938

“Illustrazione italiana”, 11.9.1938, anno LXV, n. 37

Libri

Roberto Farinacci, La Chiesa e gli ebrei, Stab. Tip. Società editoriale “Cremona nuova”, Cremona 1938

2. La descrizione antisemita degli ebrei

LA “CONGIURA GIUDAICA”

La dimensione internazionale dell’ebraismo è uno dei temi più diffusi della propaganda antisemita. La mancanza di una patria e la diaspora nelle “patrie altrui” avvenuta nel corso della storia si saldano – per gli antisemiti – con la pretesa propensione degli ebrei a sovvertire l’ordine mondiale. A questo scopo gli ebrei tenderebbero dunque per loro natura ad allearsi con le correnti internazionali dell’antifascismo, della massoneria, dei comunisti. Il fine ultimo del loro agire sarebbe quello di impadronirsi del controllo del mondo intero, asservendo tutti i paesi ai propri interessi. Il loro primo nemico – assicura la propaganda antisemita – sono i paesi fascisti in cui sono stati ristabiliti l’ordine, la gerarchia e i valori nazionali e che, proprio per questo, hanno avuto la capacità di capire e denunciare il pericolo ebraico.

La conquista del potere, nei “disegni giudaici”, si svolgerebbe attraverso una serie di trame che portano alla progressiva occupazione dei gangli vitali di ogni Stato e alla disgregazione dell’unità nazionale attraverso la propaganda sovvertitrice delle ideologie liberali. Un unico filo rosso congiungerebbe il bolscevismo sovietico alla guerra civile spagnola, passando per la democrazia francese, dimostrazioni evidenti di un progetto di sovversione che non conosce confini né limiti.

La mia battaglia fu redatto da Adolf Hitler nel 1924 durante la detenzione a seguito del fallito putsch di Monaco. Il primo volume uscì nel 1925 e il secondo l’anno successivo. In esso erano espressi alcuni capisaldi della sua concezione politica e ideologica in particolare per quello che riguardava lo spazio vitale e la questione ebraica, due aspetti a suo modo di vedere profondamente legati. Nei brani sotto riportati emerge con chiarezza, oltre all’ossessione sul futuro della Germania, quale fosse a suo giudizio la “tecnica”, tipicamente ebraica, di conquista dal potere: la minaccia era tanto più grave e pericolosa perché agiva dall’interno, facendo leva sulle debolezze di ogni singolo paese.

Adolf Hitler, La mia battaglia, pp. 307-308

Così oggi l’ebreo è il grande incitatore alla totale distruzione della Germania. Dovunque si scrivano attacchi contro la Germania, ne sono autori gli ebrei. Allo stesso modo, in tempo di pace e durante la guerra la stampa ebraica, borsistica e marxista, attizzava per sistema l’odio contro la Germania, finché uno stato dopo l’altro rinunziò alla neutralità e, contro i veri interessi dei popoli, entrò al servizio della coalizione mondiale. Il pensiero del giudaismo è chiaro. La bolscevizzazione della Germania, ossia la soppressione dell’intelligenza nazionale tedesca e lo sfruttamento, che ne sarebbe la conseguenza, delle forze di lavoro tedesche da parte della finanza mondiale ebraica è solo considerata come il preludio della diffusione della tendenza ebraica alla conquista del mondo. Come spesso avviene nella storia, la Germania è il perno, il centro della formidabile lotta. Se il nostro popolo e il nostro Stato restano vittime di quei tiranni dei popoli, avidi di sangue e di denaro, la Terra intiera cade fra i tentacoli di quei polipi. Se la Germania si scioglie da questo avvinghiamento, una grande minaccia per i popoli sarà eliminata dal mondo intiero. […] In generale l’ebraismo combatterà sempre, nel corpo di ciascuna nazione, con quelle armi che la riconosciuta mentalità di quelle nazioni gli fa apparire più efficaci e che promettono il massimo successo. Nel nostro straziato corpo nazionale il giudaismo si serve, nella sua lotta per la potenza, delle ideologie “cosmopolite” più o meno pacifiste, delle tendenze internazionali. In Francia, si vale del noto ed esattamente valutato sciovinismo; in Inghilterra di punti di vista economici e di politica mondiale; insomma, si giova sempre delle principali qualità che costituiscono la mentalità di un popolo. Solo dopo avere per tali vie conseguita una determinata influenza e potenza politica ed economica, depone le catene che gli impongono queste armi e rivela le vere profonde intenzioni della sua volontà e della sua lotta. E distrugge gli Stati, riducendoli l’un dopo l’altro in un mucchio di rovine, sul quale dovrà essere fondata la sovranità dell’eterno impero ebraico.

Il testo Protocolli dei Savi anziani di Sion è un falso redatto in ambienti zaristi agli inizi del Novecento. Fu uno dei testi fondamentali di riferimento per gli antisemiti di tutta Europa fra le due guerre: con esso si pretendeva di dimostrare l’esistenza di un complotto ad opera di una oligarchia finanziaria dell’ebraismo internazionale, cioè di un potere naturalmente occulto e invincibile. I “Savi di Sion” erano descritti come i detentori del segreto dell’arte di governare e tale segreto era una delle condizioni della loro invincibilità. La prima edizione italiana fu pubblicata nel 1921.

Henry Ford curò nel 1920 una delle due edizioni americane con il titolo L’ebreo internazionale, inaugurando fra l’altro la moda dei rifacimenti pensata per le specificità del singolo paese in cui veniva pubblicato il libro.

Enrico Ford, L’ebreo internazionale, pp. 73-75

Coloro che si occupano dell’egemonia mondiale ebraica, in teoria, sanno che in pratica l’attuale manifestazione di questa egemonia è esposta in 24 tesi, note col titolo di Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che richiamarono l’attenzione di tutta Europa e specialmente della Gran Bretagna, dove causarono un forte movimento dell’opinione pubblica inglese. […] L’obbiettivo ultimo scoperto nei Protocolli consiste nel minare dalle fondamenta l’ordinamento sociale degli uomini, gli Stati costituiti, per erigervi sopra una nuova potenza mondiale sotto forma di dispotismo illuminato. Un simile piano non poteva essere formulato da una classe regnante, già investita di poteri e di piena autorità, ma piuttosto da anarchici […] Solo dopo essere penetrati a fondo nella materia del libro, si capisce il piano dell’istituzione di un sovrano mondiale e solo allora si comincia a capire di quale stirpe debba essere. Viceversa, il complesso dell’opera non permette il minimo dubbio sul popolo contro il quale va diretto il diabolico piano. Questo non nega né il concetto di aristocrazia, né quello del capitale, né del governo, ma contiene al contrario disposizioni molto minute per utilizzare l’aristocrazia, il capitale e l’autorità del governo per la sua realizzazione definitiva. Tutto il piano è diretto contro il popolo così detto “infedele” e questa sola denominazione annulla ogni dubbio rispetto allo scopo dei documenti. Tutte le sollevazioni di carattere liberale dovranno essere appoggiate; sparse e coltivate tutte le teorie dissolventi in materia di religione, economia, politica e vita familiare, per minare il consorzio umano in guisa tale che nel momento in cui si realizzi il piano definitivo, i popoli non se ne accorgano neanche, e siano già completamente soggiogati quando la fallacia di tutte le teorie si renda evidente.

La guerra civile spagnola, che ben presto superò i limiti di un conflitto nazionale per diventare il primo scontro in armi fra fascismo e antifascismo, fu considerata negli ambienti antisemiti come la prova concreta dei progetti giudaici di dominazione del mondo. Il fatto che in terra spagnola intervenissero in aiuto dei democratici le forze sovietiche, presentate come una delle forze occulte dell’ebraismo, fu indicato come la prova evidente che la volontà di dominio del mondo non aveva né confini né limiti.

L’ “occulto potere” del giudaismo massonico al soccorso dei rossi nel retroscena del “non intervento”, “Corriere della Sera”, 4.9.1938

Sembra un assurdo parlare ancora di “intervento sovietico” dopo l’esposizione fatta delle attività russe in Spagna fino allo scoppio della guerra civile, ma qui vogliamo parlare specialmente della partecipazione dell’Internazionale ebraica, attraverso i suoi agenti: il Comintern, il Grand’Oriente e certe larghe sezioni della stampa mondiale, alla tragica farsa del “non intervento”. Tre dei capi repubblicani e firmatari del “Patto della Repubblica delle Provincie” – Indalecio Prieto, Largo Caballero, Azaňa – sono massoni ed emissari del Comintern. Questa è una cosa che tutti sanno, in Spagna e all’estero. Purtroppo questi fatti, per una ragione o per l’altra, sono stati tutti nascosti al pubblico britannico. Tutti sapevano in Spagna che l’ultimo obiettivo del Governo “democratico” era la costituzione di una “Repubblica sovietica”. In Gran Bretagna i fatti sono stati travisati.

L’ispirazione della campagna e, soprattutto, della difesa di Madrid è dovuta a Mosè (basta il nome) Rosenberg, ambasciatore sovietico a Madrid. Egli per giorni e giorni prese un’attivissima parte all’organizzazione militare. La sua propaganda era frutto di una lunga esperienza di rivoluzioni e tentativi di rivoluzione in diverse parti del mondo.

Elenco dei documenti di questa sezione

Stampa

L’identità comunismo-ebrei, “Corriere della Sera”, 25.8.1938

L’idra dalle molte teste: gli ebrei, “Corriere della Sera”, 30.8.1938

Comunisti giudei e massoni in combutta per sovvertire il mondo, “Corriere della Sera”, 1.9.1938

Come giudei e moscoviti caricarono la mina della rivoluzione in Spagna, “Corriere della Sera”, 2.9.1938

Le mene del giudaismo massonico, “Corriere della Sera”, 3.9.1938

L’occulto potere del giudaismo massonico, “Corriere della Sera”, 4.9.1938

I delitti del giudaismo massonico, “Corriere della Sera”, 7.9.1938

Libri

Ecco gli ebrei. Dai “protocolli dei Savi Anziani di Sion” alle concezioni razziste, EMI, Milano 1938

Vittorio Beonio Brocchieri, Trattato di storia delle dottrine politiche, vol. 2, L’idea di “popolo” nella coscienza politica d’Israele, Hoepli, Milano 1938

Louis Ferdinand Celine, Bagattelle per un massacro, Corbaccio, Milano 1938

Enrico Ford, L’ebreo internazionale. Un problema del mondo, Sonzogno, Milano 1938

Adolf Hitler La mia battaglia, 5° ed., Bompiani, Milano 1938

Adolf Hitler, La mia vita, 2° ed., Bompiani, Milano 1938

Piero Pellicano, Ecco il diavolo: Israele!, Baldini e Castoldi, Milano 1938

Gino Sottochiesa, Sotto la maschera d’Israele, La Prora, Milano 1938

3. La descrizione antisemita degli ebrei: affarismo, protervia, criminalità

Secondo uno dei temi più ricorrenti della propaganda antisemita, gli ebrei erano per loro natura affaristi, avidi, criminali e immorali. L’“infiltrazione ebraica” era pertanto onnipresente, tanto più pericolosa quanto più mascherata da apparente normalità; smascherarla e denunciarla era uno dei compiti più importanti che la campagna di stampa antiebraica si prefiggeva.

Gli articoli dedicati a questi temi furono particolarmente numerosi, proprio perché era fondamentale convincere che il “pericolo ebraico” si annidava ovunque, che era necessario coglierne l’esistenza anche dietro la quotidianità apparentemente più familiare e nota, motivo tanto più urgente in Italia dove la minoranza ebraica era profondamente integrata. Prima di tutto “deicidi”, secondo i più noti e tradizionali schemi dell’antigiudaismo cattolico, gli ebrei erano anche descritti come criminali e affaristi, protervi e sicuri di essere superiori al resto del mondo, quasi a lasciar intendere che essi stessi erano la causa della loro persecuzione.

Numerosi furono gli articoli su questi temi specificamente dedicati alla realtà italiana. In questo caso si sottolineava soprattutto l’eccessiva presenza degli ebrei in particolare nei settori del commercio e delle libere professioni e il continuo afflusso nella penisola di ebrei stranieri, quasi a dimostrare che leggi che allontanassero gli ebrei dai loro posti di lavoro non erano solo giuste, ma anche necessarie.

In questa sezione più che nelle altre la divisione tematica appare difficile da attuare: i motivi denigratori si intrecciano strettamente fra di loro: la pretesa superiorità e le trame di congiura internazionale, l’immoralità dei costumi e la giusta punizione.

L’accusa di deicidio, la più antica e anche quella che più facilmente trovava eco in ampi strati della popolazione, era sempre facile da riproporre:

Massimo Scaligero, Il vero volto Israele. Gli ebrei contro il Cristianesimo, “Il Regime fascista”, 18.9.1938

Dell’astio imperversante e delle ire feroci cui si diede in preda la Sinagoga, riprovata e depravata, contro la religione di Gesù tante sono le prove quanti sono i monumenti dei primi secoli del Cristianesimo. Gli Evangeli, gli Atti e le Epistole degli Apostoli ad una voce accertano e documentano che i più atroci e più spietati nemici di Gesù, autore del Cristianesimo, dei suoi legati e dei suoi primi fedeli sono stati i Giudei.

Essi crocifissero Gesù, uccisero di crudele morte Stefano e Giacomo, essi punirono in carcere Pietro e Giovanni, non la perdonarono a Paolo, e contro tutti i cristiani mossero spietatissima guerra. Né solo al comparire del Cristianesimo, ma anche in appresso perdurarono pertinaci nel reo consiglio. “Tanto è lungi dal vero” così asseriva San Giustino martire discutendo col giudeo Tifone “che vi siate pentiti del male commesso, del sangue sparso e degli ingiusti esilii, che anzi avete spediti per ogni parte legati e messi, i quali annunciassero essere sorta una nuova ed empia setta, detta, da Cristo, Cristiana, e contro di essa accendessero e facessero avvampare il comune odio e la comune riprovazione dei popoli e dei governanti”.

All’immoralità per il più sordido dei delitti, quello dell’uccisione di Gesù Cristo, si aggiungeva poi una degenerazione dei costumi, sempre più evidente con il passare dei secoli, che rendeva ancor più opportuna la separazione degli ebrei dalla compagine nazionale:

Carlo Cecchelli, Mammona iniquitatis. Il giudaismo e l’inquinamento dei costumi, “Corriere della Sera”, 15.12.1938

E’ di questi giorni un’ordinanza del prefetto di Roma che ha fatto chiudere un’osteria del Ghetto, ritrovo di grassi buongustai divenuto caratteristico per l’ostentata inosservanza alle norme igieniche. Pare impossibile come in certuni vi fosse addirittura la mania d’incanaglirsi periodicamente in un locale tanto sordido, ove tutto aveva l’odorino dell’untume. Quel che non si sarebbe tollerato a casa propria costituiva là un dolcissimo richiamo, e la sfida al naso si traduceva in un incitamento alla gola, e non pareva disgustoso, anche se detto per celia, fare delle richieste di questo genere: “Avresti un pezzettino di quel cacio marcetto scaricatrappole?”

Il fenomeno della notorietà conquistata con la sporcizia non si spiega soltanto con l’attrattiva del casereccio che abbiamo un po’ tutti. Poiché non è detto che il casereccio debba essere sporco. Nel caso nostro predominava l’idea dell’esotico poiché certi angoli dei Ghetti, per il tipo degli abitanti, per le loro specifiche attività, per il luridume, evocano la fisionomia dei quartieri orientali. L’ebreo sa sfruttare anche questa indecenza, e non gli importa che ciò torni a suo disdoro. E’ lo stesso caso delle Histoires juives scritte da ebrei. Certi piccanti aneddoti che vi si contengono sono indubbiamente denigratori per il giudaismo. Ma il pubblico ha dimostrato di gustare assai questa gettata di sassi in piccionaia. E allora le edizioni e le nuove redazioni si sono moltiplicate, giacché più di ogni altra cosa importava fare denaro. Questo trafficare su tutto, sulla mercanzia come sulla dignità, questo infischiarsene dei rispetti umani quando si tratta di fare quattrini, han finito col dare i connotati al giudaismo. E sono talvolta i piccoli episodi che rivelano una mentalità, sotto molti riguardi, infesta […].

C’è da dubitare che molti ebrei d’oggi siano veramente sensibili al fatto religioso. Come osservavo altrove, vi è fra di loro una forte percentuale d’atei; e conviene rammentare che fu l’ateo ebreo Carlo Marx, il quale subordinava la riuscita del suo sistema all’abolizione di ogni vincolo con il trascendente. Potrebbero citarsi delle prove che dimostrano in parecchi giudei attuali la mancanza di fiducia in Dio e il palese allontanamento da quello spirito di remissività che faceva pronunciare a Job le sublimi parole: “Il Signore donò, il Signore tolse; sia benedetto il nome del Signore”.

Osserviamo poi che l’età contemporanea, per lo straordinario aumento delle fortune, ha segnato il più rapido evolversi della degenerazione giudaica. Tale degenerazione incide su quello che è un vanto indubbio del giudaismo, cioè l’istituzione familiare. […] E perciò i popoli si stanno accorgendo che l’interferenza giudaica riveste forme dissolvitrici, e, uno dopo l’altro, vanno prendendo le misure adatte a fronteggiarla. In ogni luogo esiste la medesima necessità di separare con assoluta intransigenza l’elemento giudaico e di ridurre a giuste proporzioni la sua partecipazione alla vita nazionale senza possibilità di ritorni offensivi, e cioè senza penetrazioni insidiose […].

Iddio ha mandato i suoi flagelli al popolo giudaico tutte le volte che lo vedeva caduto nell’indegnità. L’ultima dispersione, la cacciata definitiva dalla terra dei padri avvenne dopo il deicidio. I tempi attuali hanno visto nel giudaismo il progredire della irreligiosità (in molti casi la vera lotta contro la religione), l’inquinamento dei costumi, l’idolatria di “mammona”. Ciò deve aver provocato il nuovo castigo materialmente inferto per legittima difesa dal braccio secolare degli Stati. Questa discriminazione e riduzione sarà, in ultima analisi, un gran bene per il giudaismo.

Carlo Cecchelli, La muraglia talmudica fra i giudei e gli altri popoli, “Corriere della Sera”, 25.11.1938

Le norme fissate dal Gran Consiglio del Fascismo nei riguardi dell’elemento non ariano hanno ora avuto la loro perfetta traduzione legislativa nelle statuizioni approvate dal Consiglio dei ministri. E’ bene sottolineare la eccezionale larghezza dei criteri cui s’informò il Gran Consiglio nel proporre le discriminazioni fra la razza italica ed i giudei, talché quelle norme sono apparse anche oltr’Alpe come la pura espressione del tradizionale equilibrio italiano […].

Concludo: l’antisemitismo è un fenomeno generato non da opposizione di razza contro razza (bisogna sfatare una buona volta questo equivoco), ma dall’atteggiamento giudaico in confronto degli altri popoli. La ispirata invocazione dei profeti “fiat iustitia, pereat mundus” si è poi tradotta nella volontà di rovesciare i popoli per esaltare quello che s’infatuò nell’idea di possedere in esclusiva la perfetta iustitia. In tal modo le antinomie fondamentali capovolsero gl’insegnamenti dell’Eterno, trascinando il popolo d’Israele a essere verso gli altri essenzialmente ingiusto.

G. Polv. Un ebreo contro gli ebrei, “Il Popolo d’Italia”, 14.12.1938

E’ apparso recentemente a Zurigo un opuscolo intitolato “Giuda risvegliati! – proclama al popolo ebraico”. A quanto si può dedurre, l’autore, Ben Chaim, è un ebreo fuggito dalla Russia bolscevica e successivamente dalla Germania, il quale dalla conoscenza dei movimenti giudaici e dall’esperienza della sua vita errante è stato indotto a studiare le cause per cui “da millenni, in tutti i Paesi del mondo”, gli ebrei furono perseguitati.

Egli riscontra all’origine di tutti i mali la folle presunzione dei giudei di costruire la razza eletta. E’ il razzismo ebraico che crea negli altri popoli la necessità della difesa razzista. Le leggi di Norimberga non sono che la logica risposta all’atteggiamento giudaico. Il pregiudizio israelitico sulla superiorità della razza “ci rende estranei ai popoli in mezzo ai quali viviamo”. Esso “ci impedisce di essere dei sinceri patrioti nei nostri rispettivi Stati”. Malgrado qualche rara eccezione, “la grande maggioranza degli ebrei si mantiene estranea, moralmente e spiritualmente, ai popoli che li ospita”.

Questo esempio di cronaca d’oltralpe è tipico della propaganda antisemita non solo per la dichiarata denuncia dell’“affarismo giudaico” e della tenace tecnica di graduale e progressiva penetrazione nei gangli vitali dell’economia nazionale, ma per la denuncia, più velata ma non meno importante, dell’incapacità del governo francese di perseguire una coerente politica razziale.

Un nuovo scandalo Stawiski in Francia. Quattrocento milioni sottratti dai tre ebrei del “Circuito Pathé” “Corriere della Sera”, 28.12.1938

L’arresto dei due israeliti Bernard Nathan e Jean Cerf, notissimi non solo negli ambienti cinematografici e degli affari, ma anche in quelli mondani e politici della capitale, e dell’ingegnere di origine greca Johannides, incolpati di truffe per 7 milioni di franchi, ha indotto qualche giornale a parlare della più vasta truffa della quale il giudice istruttore si interessa da due anni relativa alle fallite società Pathè-Nathan e Cinémas-Pathè, e che si aggirerebbe sui 400 milioni di franchi. Due degli arrestati, i due ebrei, sono personaggi caratteristici della disordinata vita d’affari, più o meno loschi, che ha avuto la sua più clamorosa espressione in Stawiski; notiamo però oggi un riserbo di gran parte della stampa parigina, che può sembrare straordinario a chi non ha nozione dell’onnipotenza che in questo Paese gli ebrei godono negli affari, nei giornali e in tutte le branche dell’attività nazionale. Come se fosse corsa una parola d’ordine, la notizia, che non manca né d’importanza né d’interesse giornalistico, è riferita in poche decine di righe, confinata in cantucci di pagina o addirittura ignorata. Fanno eccezione pochi giornali, e da essi raccogliamo alcune interessanti informazioni.

Per farsi un’idea di tutta la faccenda bisogna risalire al 1920, quando Bernard Nathan, che si chiamava allora Bernard Tanenzapf, arrivava in Francia e otteneva la naturalizzazione. Immediatamente egli si interessò di cinematografo, specializzandosi in un ramo clandestino: egli fu il produttore e il principale interprete di tutta una serie di piccoli film destinati a una categoria di ritrovi notturni e clandestini che la polizia di Parigi “tollera” ancor oggi. Nel 1926 Bernard Tanenzapf era riuscito a far prosperare una casa per lo sviluppo di film cinematografici e la pubblicità cinematografica chiamata Rapid Films.

Nel 1928, all’avvento del cinema parlato, il Tanenzapf riuscì a comprare il pacchetto di azioni possedute da Charles Pathé, conquistando in tal modo la maggioranza nella Società Cinemas Pathé. Occorre aggiungere che egli riuscì a pagare in parte questo pacchetto di azioni con gli stessi fondi che si trovavano nelle casse della Società. A partire da quel momento Tanenzapf ripudiò il proprio nome e si fece chiamare Bernard Nathan; anche la vecchia casa cinematografica assunse il nome di Pathé Nathan. Una pioggia d’oro incominciò allora per l’ebreo e per tutta la sua famiglia. Il fratello Emilio divenne direttore generale del reparto produzione; suo cognato Renato, direttore generale della propaganda, e Bernard Nathan divenne il direttore generale di tutta la società, riuscendo a poco a poco ad accaparrare a Parigi e in provincia una grande quantità di sale di proiezione che costituì il famoso “circolo Pathé”, la più potente catena di cinematografi della Francia. Bastava che una pellicola fosse accettata dal circuito Pathé per avere sicura fortuna. Bernard Nathan iniziò poi anche la produzione di pellicole cinematografiche nei propri studi, e poté realizzare alcuni film che ebbero notevole successo. Pubblicò anche un giornale redatto da scrittori noti, e che veniva distribuito agli spettatori del suo “circuito”. Ogni manifestazione speciale della Società, sia che si trattasse dell’ultimo giro di “manovella” di una pellicola o della sua prima rappresentazione o dell’inizio di un nuovo lavoro, era pretesto per banchetti, feste e serate sfarzosissime; senatori, deputati e due o tre ministri non mancavano mai alla tavola d’onore a lato di Nathan. La combinazione industriale e commerciale del Nathan divenne in breve la più potente della cinematografia francese.

Numerosi, in particolare nei primi mesi del 1938, prima dell’emanazione delle leggi antisemite, furono su molti giornali, soprattutto quotidiani, gli articoli dedicati alla realtà locale in cui si sottolineava l’eccessiva presenza giudaica. Tipico questo articolo sul caso milanese:

Dove i giudei hanno quasi un monopolio, “Corriere della Sera”, 23.9.1938

Se si sottopone il panorama industriale e commerciale della nostra città – panorama che rispecchia per più aspetti quello nazionale e in certi settori è tutt’uno con esso – ad un esame particolareggiato, si ha la riprova di come certi campi siano dominati nettamente dall’ebraismo. Quando ciò non appare dal numero degli ebrei, si palesa nettamente per l’importanza finanziaria degli affari che, anche in pochi, essi rappresentano. Nel campo della macchina per scrivere questo fenomeno è di un’evidenza diremmo quasi plastica. Nel settore industriale si può parlare addirittura di monopolio poiché i costruttori di questo diffusissimo meccanismo si contano in tutta Italia sulle dita di una mano. Ma come si è detto, non è già il loro numero che importa, sebbene la loro importanza. La fabbricazione delle macchine per scrivere è “riserva” giudaica. Migliaia di operai di pura razza italiana lavorano da anni a maggior gloria dei dividendi ebraici, servendo spesso di ottimo pretesto per monopolizzazioni sulle quali – la battaglia autarchica e il sentimento patriottico aiutando – è stata proficua cosa speculare. Per costruire sono sorti stabilimenti che la difesa della Patria potrebbe volere, un giorno, destinati a costruzioni molto delicate.

Di predominio giudaico è pure il settore del commercio delle macchine per scrivere. I commercianti di tali ordigni sono, nella nostra provincia, una sessantina. La decima parte di essi, tutti residenti a Milano, sono giudei o portano nomi giudei. Ma questo decimo raccoglie quasi tutti gli affari. Inconfondibilmente sono giudei i maggiori esponenti di questo commercio che, specialmente agli esordi, è stato quello che si direbbe una California, un campo ove s’è raccolto l’oro a piene mani. Di pura razza italiana, come è naturale (com’era), è sempre stato invece l’esercito dei venditori, dei “produttori”, come si dice, dei viaggiatori e piazzisti: l’esercito dalla facondia irresistibile, tenace, intelligente; psicologi capaci di tornare dieci volte nello stesso ufficio per vendere una macchina, superando l’ostacolo di nove rifiuti; per assicurare a sé una modesta provvigione e alla “ditta” un lauto guadagno.

Elenco dei documenti di questa sezione

Stampa

Troppe conversioni di ebrei in Romania, “Corriere della Sera”, 18.2.1938

Pescecani nel Ponto Eusino, “Corriere della Sera”, 15.8.1938

L’ebreo controllava giustizia e polizia di Nuova York, “Corriere della Sera”, 24.8.1938

La clemenza di Tito, “Corriere della Sera”, 26.8.1938

Superiorità inesistente, “Il Popolo d’Italia”, 3.9.1938

La vacca rossa, “Il Popolo d’Italia”, 15.9.1938

Massimo Scaligero, Il vero volto d’Israele. Gli ebrei contro il Cristianesimo, “Il Regime fascista”, 18.9.1938

Un giudeo e due amici che vendevano sterline false, “Corriere della Sera”, 7.10.1938

Gravi prove contro Sacerdoti e C., “Corriere della Sera”, 12.10.1938

L’assassino giudeo, “Il regime fascista”, 9.11.1938

Carlo Cecchelli, La muraglia talmudica fra i giudei e gli altri popoli, “Corriere della Sera”, 25.11.1938

G. Polv., Un ebreo contro gli ebrei, “Il Popolo d’Italia”, 14.12.1938

Giudeo condannato per appropriazione, “Il Popolo d’Italia”, 14.12.1938

Usura giudaica. Tasso al 110%, “Il Popolo d’Italia”, 15.12.1938

Carlo Cecchelli, Mammona iniquitatis. Il giudaismo e l’inquinamento dei costumi, “Corriere della Sera”, 15.12.1938

La criminalità nei vari paesi. Alta percentuale data dai giudei, “Corriere della Sera”, 28.12.1938

Quattrocento milioni sottratti dai tre ebrei del “Circuito Pathé”, “Corriere della Sera”, 28.12.1938

Libri

Egone Corti, La famiglia dei Rothschild, Mondadori, Milano 1938

4. La congiura internazionale antisemita

La propaganda antisemita, come denunciava la dimensione internazionale della “congiura ebraica”, così affermava che anche la risposta “ariana” al “pericolo giudaico” doveva essere internazionale: se ci si fosse coordinati sarebbe stato più facile salvarsi dalla “minaccia”. Il primo passo era la chiusura delle frontiere agli ebrei stranieri: l’Italia poteva così vantarsi di non avere partecipato alla conferenza internazionale di Evian promossa dagli Stati Uniti per affrontare la spinosa questione dei profughi nell’estate 1938.

La stampa italiana riportò puntualmente l’introduzione di provvedimenti antiebraici in altri paesi europei, in primo luogo la Germania, ma anche – seppure in forme e con livelli di radicalità assai diversi – in Ungheria, Romania, Polonia, ecc. dimostrazione che “finalmente” si cominciava a capire che erano necessarie iniziative concrete a livello statale.

Si delineava così una divisione sempre più marcata fra quei paesi che almeno cominciavano a introdurre misure contro gli ebrei e quelli invece che perseveravano in una politica “filogiudaica”, primi fra tutti Francia e Stati Uniti. Entrambi sono allora descritti come vittime e complici al contempo del complotto ebraico, incapaci di intraprendere una coerente politica di rinascita nazionale e ideale.

La polemica nei confronti della Francia repubblicana e democratica è particolarmente violenta. L’incapacità di difendere la purezza della propria stirpe, mescolandosi in modo confuso anche con il razzismo nei confronti dei neri, è considerata una delle cause principali della decadenza nazionale. Ulteriore e implicita conferma della giusta strada imboccata dall’Italia fascista.

Paolo Monelli, Come si son fatti, “Corriere della Sera”, 13.9.1938

Ho già avuto occasione di notare che il francese non ha il senso di appartenere ad una razza, nel significato che si dà a questa parola correntemente, e voglio dire anche prima che intervenga la scienza a definirla, cioè unità di schiatta, di lingua, di storia, di tradizione; ma piuttosto ha il senso di appartenere ad una comunità politica, mistica, senza radici terrene. Per il francese l’esser francese non è soltanto l’effetto di essere nato in quel territorio da quei genitori; ma anche conseguenza di un atto di fede, o di volontà, o di necessità. L’avere il passaporto francese appare sola e sufficiente condizione per fare un concittadino, un consanguineo, un fratello, di un malgascio di un annamita di un lituano di un polacco. Nessuno nega al deputato Candace, negro del più bel nero, vicepresidente della Camera, la qualità di francese.

Ogni anno migliaia di meteci, armeni siriani negri annamiti indiani ed ebrei aschenazi, si fanno naturalizzare francesi ed i francesi li accolgono a braccia aperte e ne corteggiano con serie intenzioni le figlie. E basta, come abbiamo già notato, che un corridore ciclista o un calciatore o un tennista rinneghi a venti anni la sua origine, la patria dei genitori e la propria, e si faccia di polacco o calmucco o spagnolo cittadino francese, perché esso divenga di colpo corridore calciatore campione francese, da farci il tifo, da opporre trionfalmente ai campioni stranieri, da esaltare come tipico eroe della razza francese (in questi casi si tira fuori anche qui la razza).

Strano fenomeno questo; di una nazione orgogliosa ed esclusiva sopra ogni altra che è poi così poco schifiltosa nella scelta dei suoi cittadini. Ma questo orgoglio appunto è il motivo della sua liberalità a dare il crisma di cittadino a chiunque lo chieda; cioè la persuasione di essere una nazione eletta sopra le altre, un paradigma di virtù e di scienza della vita, lume ed esempio al mondo, e per necessaria conseguenza missionaria, in travaglio di proseliti e di neofiti. Di questa infatuazione ho già parlato, e troppo lungo discorso ci vorrebbe per esporne i motivi e la genesi; voglio ricordare qui che il francese, lasciando da parte quei pochi e bizzarri scrittori che si dolgono che Cesare conquistando la Gallia e latinizzandola abbia soffocato una originaria ed originale civiltà celto-ligure e guastata la nazione dei Galli – è notevole che costoro ripetono le stesse accuse che alla romanità fa il Rosenberg nel suo “Mito del secolo XX” – il francese nella sua gran maggioranza è persuaso di essere il “successore diretto di Roma”, come leggo nel libro del dottor René Martial, La Race française, che è la fonte principale di questi miei articoli; e se la premessa è sbagliata, l’orgoglio della deduzione è tuttavia giustificato.[…] Da una decina d’anni le naturalizzazioni si sono fatte numerose, da venti a trentamila all’anno. Tre milioni di stranieri vivono entro i suoi confini. Ora essa si trova di fronte a un tragico dilemma: o chiudersi in sé, per conservare intatti i suoi caratteri tradizionali, condannandosi a una fatale decadenza numerica, a un progressivo invecchiamento della razza; o imbarbarirsi a ragion veduta, accettando e favorendo l’intrusione in massa di altre razze, pur di conservare la sua entità numerica. Ci sarebbe una terza soluzione, la più naturale; che il popolo tornasse a far figlioli e a coltivare i campi. Ma disperando di questo, gli studiosi francesi propendono per quello che chiamano “innesto interrazziale”; in che modi e forme, vedremo in un prossimo articolo.

L’attacco verso gli Stati Uniti è ancora più violento. Vi si mescolano l’antisemitismo, l’odio verso i neri e la necessità di una coerente politica di “difesa della stirpe”.

Emilio Cecchi, Razzismo e utilitarismo agli Stati Uniti, “Corriere della Sera”, 28.7.1938

Certo è che il punto concreto e dolente del problema sta nella scarsa vitalità del nucleo anglosassone, che dovrebbe formare l’aristocrazia della razza. E tutti i provvedimenti, più o meno nuovi, diretti alla sanità dei matrimoni, alla sterilizzazione degli individui inadatti, alla protezione della maternità e dell’infanzia; e le cure ginnastiche, e i parchi e i giardini, e i milioni dedicati alle migliorie edilizie, sono cose che contano ben poco, di fronte a quella torpidità, a quella decadenza, a quella abdicazione. […] Ancora una volta, come in tante altre circostanze, l’edonismo e l’utilitarismo americano si rispecchiano nelle infinite sfaccettature del problema della razza. Simpatia e solidarietà per gli ebrei di Vienna e Berlino, finché giovi agli effetti della polemica democratica. E sospetto e guerriglia contro gli ebrei di Wall Street, non appena si presti al tornaconto bancario. Amore sviscerato per i negri d’Etiopia. E strangolazione, or ora silenziosamente effettuata, del progetto di legge contro il linciaggio: legge che ai negri d’America avrebbe certamente fatto piacere.

Come se poi la famiglia anglosassone abbia più da temere dai negri che dalla propria semisterilità. E come se il mondo non sappia che il pretesto di difesa razziale dai negri è lo strumento terrificante di un dominio soprattutto economico. Conseguenza immediata del fallimento della legge contro il linciaggio: due linciaggi, subito avvenuti, uno dopo l’altro, in queste prime settimane di luglio.

Nel corso del 1938 molti paesi europei introdussero legislazioni antisemite, anche se con diversi livelli di radicalità. Anche quei paesi nei quali non vi fu una svolta razzista introdussero restrizioni legislative rispetto all’immigrazione di stranieri. Il fallimento dell’incontro di Evian – promosso dagli Stati Uniti – fu la prova più chiara che nessun paese, neppure quelli tradizionalmente più aperti, erano pronti ad affrontare con una politica concertata il nuovo esodo di ebrei. Tale sviluppo non poteva che essere visto con favore dall’Italia fascista.

La legge sugli ebrei entrata in vigore in Ungheria. La campagna elettorale iniziata, “Il Popolo d’Italia”, 6.5.1938

La legge sui giudei è entrata oggi in vigore, e i giornali dell’opposizione dell’argomento giudaico e della legge stessa si serviranno per la campagna elettorale già iniziata e che avrà la sua risoluzione nei giorni 28 e 29 maggio. Si ritiene che la nuova Camera, che si riunirà il 10 giugno, riuscirebbe formata, secondo i calcoli attuali, per il sessanta per cento circa di elementi nuovi. Vi sarebbero anche i segni di un profondo mutamento di correnti, dovuto più che altro alla nuova presa di pozione di alcune personalità del mondo politico, fra cui lo stesso ex presidente del Consiglio Imredy, il quale si staccherebbe dal Partito di Governo per aderire a un gruppo più estremista. E’ molto atteso un discorso che il Capo del Governo Teleki terrà sabato, giornata ufficiale di inizio della campagna elettorale, nella città di Szeged. Gli argomenti del giorno sono, naturalmente, il discorso di Beck e il viaggio in Italia di von Ribbentrop. In generale la stampa manifesta un certo ottimismo, e nei circoli politici viene fatto notare che voci corse sui presunti scopi politici dell’incontro di Milano e sulla parte che l’Italia avrebbe dovuto rappresentare in Germania nella vertenza tedesco-polacca risulta inesatta, per il fatto stesso che il primo colloquio fra Ciano e von Ribbentrop avviene dopo il discorso di Beck.

Gli “indesiderabili”. Chiuse le porte agli ebrei, la Svizzera vuole ora eliminare quelli già entrati, “Corriere della Sera”, 24.8.1938

L’afflusso degli ebrei dalla Germania è ormai cessato e bisogna convenire che la Svizzera ha fatto di tutto per arginarlo ricorrendo anche ai giornali di Vienna sui quali ha fatto apparire vistosi comunicati di diffida. Rimane però ora il problema di porre un limite al periodo di tolleranza accordato a questi indesiderabili, molti dei quali sono stati provvisoriamente ospitati in una colonia di nudisti presso Soletta, dove come tutti gli altri sono mantenuti a spese della comunità ebraica svizzera.

Movimento antisemita in Svezia, “Corriere della Sera”, 27.8.1938

Notizie di movimenti antisemiti in Svezia vengono pubblicate dalla stampa inglese. Non vi sono molti ebrei in quel paese nordico, ma il democraticissimo Governo di Stoccolma ha fatto del suo meglio per tener lontani rifugiati e fuoriusciti. Pare del resto che quei pochi israeliti che abitano in Svezia godano di un potere sproporzionato al loro numero. Essi dominano la banca, l’industria editoriale e la stampa. Questo spiega perché qualunque voce che venga sollevata per protestare contro la loro invadenza venga senz’altro soppressa o trovi scarsa eco. A Stoccolma il movimento antisemita è particolarmente attivo.

Elenco dei documenti di questa sezione

Stampa

L’Italia non aderisce all’iniziativa americana per i profughi politici ed ebrei, “Corriere della Sera”, 30.3.1938

La legge sugli ebrei entrata in vigore in Ungheria, “Il Popolo d’Italia”, 6.5.1938

Anche la Grecia vieta il trasporto di ebrei in Palestina, “Il Popolo d’Italia”, 7.5.1938

Il valore della presa di posizione italiana sottolineato in Germania, “Il Regime fascista”, 16.7.1938

Ecco serviti…, “Il Regime fascista”, 17.7.1938

Emilio Cecchi, Razzismo e utilitarismo agli Stati Uniti, “Corriere della Sera”, 28.7.1938

La realtà razzista si imponeCorriere della Sera”, 18.8.1938

I nomi germanici proibiti agli ebrei nel Reich, “Corriere della Sera”, 20.8.1938

Gli “indesiderabili”, “Corriere della Sera”, 24.8.1938

Il razzismo italiano e il mondo islamico, “Corriere della Sera”, 26.8.1938

Movimento antisemita in Svezia, “Corriere della Sera”, 27.8.1938

Paolo Monelli, Come si son fatti,“Corriere della Sera”, 13.9.1938

Nuove misure tedesche contro gli ebreiCorriere della Sera”, 15.11.1938

L’eliminazione degli ebrei dalla vita nazionale del ReichCorriere della Sera”, 20.11.1938

Liliana Picciotto, Statistica generale degli ebrei vittime della Shoah In Italia 1943-1945