Pesach, il valore della porta aperta

Ritratto di gruppo nel Forno delle azzime di Venezia, 1951. Archivio Fondazione CDEC

Cari amici, care amiche, nell’augurarvi un allegro e significativo Seder di Pesach, condividiamo una riflessione del direttore della Fondazione CDEC sull’accoglienza, valore fondamentale di questa festività ebraica.

Chag sameach!

Kol dichtìn iefé veyechòl, kol dizrìch ieté veyifsach”. Il Seder di Pesach inizia con questi due inviti alla mensa: “Tutti coloro che sono affamati entrino e mangino, tutti coloro che ne hanno bisogno vengano a condividere il sacrificio”.

Pesach, la festa della liberazione del popolo ebraico, si apre con un gesto di accoglienza universale. Ricorre nella ritualità il richiamo ad attraversare una soglia, dalla schiavitù alla libertà. Il numero quattro, simboleggiato dalla lettera “dàleth” dell’alfabeto, può essere interpretato anche come “déleth”, per l’appunto “porta, soglia”. Quattro sono i figli che introducono la lettura della Haggadàh, quattro sono i bicchieri di vino che vengono dedicati al ricordo del cammino di libertà. Alla fine del rito, si apre la porta di casa per accogliere il Profeta Elia, figura simbolica e misteriosa che rappresenta il Messia, che giungerà alla fine dei giorni. Oggi quella porta si apre per accogliere chi ne ha bisogno, condividendo con lui o con lei quel poco o tanto che abbiamo.

Vi auguriamo buon Pésach, Hag saméach.

Gadi Luzzatto Voghera